Mar del Plata, 1978. È un anno che gli appassionati di sport ricorderanno sicuramente: l’Argentina, padrona di casa, vince il Mondiale battendo 3-1 la nazionale di calcio dei Paesi Bassi. Un Mondiale diverso da quelli che conosciamo oggi, contornato da un’aura di paura e tensione perché, come ci insegna la Storia, l’Argentina del tempo era in mano a un oppressivo regime militare, un regime che non lasciava scampo agli oppositori: “comandano, minacciano, ammazzano. A modo loro si divertono.”

Ma di storie sul calcio ne conosciamo a bizzeffe, biografie e racconti di vita vissuta riempiono gli scaffali sportivi avvicinando a questo mondo anche i meno appassionati, quelli a cui del calcio in sé non importa tanto, ma vogliono comunque conoscerne i retroscena più umani, quelli che vanno oltre la palla e il campo di gioco.

Questa è una di quelle storie. Non parliamo di calcio, ma di rugby. Meno conosciuto, ma altrettanto amato. Parliamo dell’Argentina del 1978 e di una squadra di ragazzi poco più che ventenni, cresciuti per strada, ma pieni di sogni, di speranze e di vita. Il Mono, Otilio, Pablo, Santiago, il Turco, Mariano, Raul e Passarella, il loro allenatore. Nomi di fantasia (ad eccezione di Raul), storia vera. Un gruppo di amici accomunati dalla passione per il rugby. Si preparano al campionato, un solo obiettivo: vincere. E ottenere quella vittoria diventa sempre più importante, giorno dopo giorno da quando il Mono scompare per essere ritrovato abbandonato e senza vita. Da quando decidono di sfidare quel governo che li vuole tutti morti perché troppo ambiziosi, troppo idealisti. Decidono di restare e combattere, di non piegare la testa di fronte all’oppressione, di restare uniti per portare Mar del Plata alla vittoria, con un retrogusto di ribellione e libertà.

Claudio Fava dà voce a quei ragazzi la cui storia era sconosciuta. Porta alla luce non solo gli eventi, ma le sensazioni, le emozioni, i pensieri e i gesti di quei ragazzi che scelsero di restare, riuscendo a stabilire, in poche pagine, un legame indissolubile con il lettore. Un po’ come ha legato gli spettatori a Peppino Impastato, scrivendo la sceneggiatura de “I cento passi“.

*Rosangela*

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